È stata nuovamente negata legittimità all’erogazione dell’indennità di risultato al segretario nella parte in cui risulta correlata alla retribuzione percepita in virtù del ruolo di direttore generale (Corte dei Conti dell’Umbria, sentenza n. 21/2016).
Secondo l’interpretazione dei giudici, supportata da precedenti disposizioni della Corte, orientamenti applicativi dell’Aran e orientamenti dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari, «mentre la “specifica indennità” al menzionato art. 44 [del contratto nazionale dei segretari], per espressa indicazione normativa, è “corrisposta in aggiunta alla posizione di retribuzione” del Segretario Generale, “l’indennità di risultato” del Segretario stesso, per altrettanto espressa indicazione del precedente art. 42 [del contratto nazionale dei segretari], è calcolata “tenendo conto del complesso degli incarichi aggiuntivi conferiti[gli], ad eccezione dell’incarico di funzione di Direttore Generale”».
Tale lettura della norma è confermata anche dalla deliberazione n. 389/2002 del CdA dell’Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei Segretari Comunali, in cui «vengono espressamente elencate le “voci retributive” su cui calcolare l’indennità di risultato del Segretario Generale (c.d. “monte salari”) ed in esse non figurano, perché espressamente esclusi, “i diritti di segreteria” e, per quanto di interesse, “l’indennità di Direttore Generale”».
Sulla base di questi presupposti, la Corte ha riconosciuto la colpa gravissima del presidente della Provincia in cui lavorava il segretario, condannandolo al pagamento della somma (con interessi) derivante dall’illegittima erogazione dell’indennità di risultato al segretario, più le spese di giustizia e gli interessi legali.