Affidamento di servizi a rilevanza economica: perché l’appalto non è la forma contrattuale adeguata
Nel contesto del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023) e delle sue modifiche apportate dal correttivo D.Lgs. 209/2023, si è riacceso il dibattito giuridico e amministrativo sul corretto inquadramento delle forme contrattuali per l’affidamento di servizi a rilevanza economica, con particolare attenzione al contratto di appalto. Seppur frequentemente utilizzato, l’appalto non rappresenta la tipologia contrattuale più idonea in tali casi, sia alla luce delle più recenti normative italiane che dei pronunciamenti della giurisprudenza nazionale ed europea.
In questo articolo analizzeremo le ragioni per cui l’appalto può risultare inappropriato per l’affidamento di servizi a rilevanza economica, proponendo invece modelli alternativi più coerenti con le caratteristiche di questi servizi.
Cosa si intende per “servizi a rilevanza economica”
I servizi a rilevanza economica rappresentano una particolare categoria di servizi pubblici che, pur perseguendo finalità di interesse generale, vengono erogati secondo logiche di mercato, in un contesto concorrenziale. Si tratta di attività che rispondono a bisogni collettivi essenziali, ma il cui esercizio può essere affidato a soggetti terzi attraverso strumenti contrattuali diversi dall’appalto, in quanto il soggetto gestore assume su di sé una parte significativa del rischio operativo e imprenditoriale.
L’elemento distintivo di tali servizi è proprio questo: non si configurano come una mera esecuzione di prestazioni per conto dell’ente pubblico, ma come gestioni autonome in cui l’operatore economico si trova a pianificare, organizzare e sostenere i costi del servizio, recuperando i ricavi direttamente dall’utenza attraverso tariffe o corrispettivi. In altre parole, l’equilibrio economico dell’iniziativa non è garantito a priori dall’amministrazione, ma è legato alla capacità del gestore di operare in modo efficiente e competitivo.
Rientrano in questa categoria, ad esempio, la gestione del trasporto pubblico locale, i servizi di igiene urbana e raccolta rifiuti, la ristorazione scolastica, i servizi di assistenza domiciliare, e in generale tutte quelle attività dove è previsto un pagamento da parte degli utenti e dove la gestione implica una vera e propria organizzazione imprenditoriale.
Proprio per questa natura “mista” — pubblica nelle finalità ma privata nei meccanismi di gestione — i servizi a rilevanza economica richiedono forme di affidamento che tengano conto del rischio d’impresa e delle dinamiche di mercato, rendendo spesso inadeguato lo strumento tradizionale dell’appalto pubblico.
L’appalto nel Codice dei Contratti Pubblici: definizione e limiti
Il contratto di appalto, come definito dall’art. 16 del D.Lgs. 36/2023 (nuovo Codice dei Contratti Pubblici), è l’accordo attraverso il quale una stazione appaltante affida a un operatore economico l’esecuzione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi, dietro pagamento di un corrispettivo predeterminato. In questo modello, l’amministrazione pubblica conserva il controllo economico e operativo sul contratto, mentre il soggetto esecutore si limita a fornire la prestazione richiesta nei termini e nei modi stabiliti.
Uno degli elementi cardine dell’appalto è la mancanza di assunzione del rischio operativo da parte dell’appaltatore: l’operatore economico, infatti, viene remunerato indipendentemente dal risultato economico del servizio o dalla sua sostenibilità nel tempo. Il rischio resta quindi in capo alla pubblica amministrazione, che si impegna a pagare il corrispettivo anche qualora il servizio non produca introiti sufficienti o non venga utilizzato in misura significativa.
Questo schema contrattuale risulta adeguato a servizi standardizzati, ben definibili a priori, e che non prevedono un’interazione diretta con l’utenza finale ai fini del pagamento del servizio stesso.
Tuttavia, quando l’operatore economico si fa carico della gestione autonoma del servizio, stabilendo un’organizzazione imprenditoriale, incassando i corrispettivi direttamente dagli utenti e assumendosi i relativi rischi (di domanda, di gestione, di equilibrio economico-finanziario), non si è più nell’ambito dell’appalto, ma si rientra nella concessione di servizi. Il riconoscimento e la corretta distinzione tra appalto e concessione non sono soltanto una questione formale, ma hanno implicazioni sostanziali sotto il profilo giuridico, economico e procedurale: utilizzare lo strumento dell’appalto in situazioni in cui ricorrono le condizioni della concessione può comportare irregolarità contrattuali, responsabilità erariali e distorsioni nel rapporto pubblico-privato.
La concessione di servizi: l’alternativa corretta
La concessione di servizi è il contratto con cui la pubblica amministrazione affida a un soggetto privato la gestione di un servizio, trasferendo a quest’ultimo il rischio operativo legato alla gestione stessa, secondo quanto specificato all’art. 174 del D.Lgs. 36/2023.
In questo modello:
- il concessionario incassa direttamente i proventi del servizio (o una parte significativa);
- il rischio economico è trasferito sull’operatore;
- l’amministrazione svolge un ruolo di regolazione e controllo, ma non di esecutore diretto.
L’art. 174, comma 2, specifica chiaramente che il rischio operativo deve includere l’esposizione alle fluttuazioni della domanda o dell’offerta e che il mancato trasferimento di tale rischio rende il contratto non qualificabile come concessione.
Pertanto, laddove il soggetto affidatario incassi tariffe dagli utenti e debba sostenere i costi di gestione, si è di fronte a una concessione e non a un appalto.
Il rischio di errata qualificazione e le conseguenze giuridiche
Qualificare erroneamente un affidamento come appalto invece che concessione può comportare gravi conseguenze sotto il profilo:
- della legittimità dell’affidamento, potendo incorrere in violazioni della normativa sugli appalti;
- della responsabilità amministrativa, in caso di danno erariale;
- dell’efficacia del contratto, che potrebbe essere annullato o disapplicato in sede giurisdizionale.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2553 del 2020, ha ribadito che la corretta qualificazione del contratto si fonda non sulla forma adottata, ma sulla sostanza del rapporto e in particolare sulla ripartizione del rischio economico.
Giurisprudenza europea: la sentenza Parking Brixen
A livello europeo, la sentenza della Corte di Giustizia UE del 13 ottobre 2005, causa C-458/03 (Parking Brixen) è stata fondamentale nel chiarire la distinzione tra appalto e concessione.
La Corte ha stabilito che, affinché si parli di concessione, il soggetto affidatario deve assumere il rischio economico della gestione. Qualora il contratto preveda un corrispettivo garantito o rimborsi sicuri da parte dell’amministrazione, si tratta di appalto.
Questo principio è stato confermato in numerose sentenze successive, tra cui:
- C-274/09, Privater Rettungsdienst (2010),
- C-458/14, Promoimpresa (2016),
- C-434/15, Asociación Profesional Elite Taxi (2017).
In tutti i casi, la Corte ha sottolineato che la qualificazione deve basarsi su elementi oggettivi, con particolare riferimento al trasferimento del rischio economico.
Novità introdotte dal D.Lgs. 209/2023
Il correttivo D.Lgs. 209/2023 ha confermato e in parte rafforzato la distinzione tra appalto e concessione, introducendo ulteriori precisazioni in merito alla natura del rischio operativo e alla necessità di una valutazione puntuale in fase di progettazione dell’affidamento.
Tra le modifiche rilevanti:
- Rafforzamento del principio del “rischio significativo” per la concessione.
- Obbligo per la stazione appaltante di motivare espressamente la scelta della tipologia contrattuale adottata.
Introduzione di linee guida ANAC per facilitare la corretta qualificazione dei contratti pubblici.
Casi pratici: errori e correzioni nella prassi amministrativa
Un esempio concreto dell’errata qualificazione è stato il caso del servizio di mensa scolastica in alcuni Comuni italiani, affidato con contratto di appalto nonostante l’incasso diretto delle rette da parte dell’operatore.
In molte di queste situazioni, la Corte dei Conti ha rilevato vizi di legittimità e possibili profili di responsabilità contabile, invitando le amministrazioni a rivedere i contratti in chiave di concessione. Allo stesso modo, in materia di trasporto pubblico locale, si è spesso ricorsi a gare di appalto quando invece l’impianto economico e normativo suggeriva la concessione, in base alla direttiva 1370/2007/CE e al D.Lgs. 50/2016 (ora sostituito dal 36/2023).
Conclusioni
Alla luce delle norme attuali (D.Lgs. 36/2023 e correttivo 209/2023), della giurisprudenza consolidata e delle linee guida europee, risulta evidente che l’appalto non è la tipologia contrattuale corretta per l’affidamento di servizi a rilevanza economica, quando l’operatore assume rischi di gestione e incassa direttamente i corrispettivi.
In tali casi, la corretta qualificazione è quella della concessione di servizi, che consente un allineamento con i principi di trasparenza, concorrenza e tutela del mercato, evitando rischi giuridici e contabili per la pubblica amministrazione.
Per le stazioni appaltanti è fondamentale, nella fase di programmazione e progettazione dell’affidamento, effettuare un’attenta analisi del rischio operativo e del modello economico del servizio, al fine di scegliere la forma contrattuale coerente e rispettosa della normativa vigente.