Con le deliberazioni n. 83/2019 e n. 84/2019 dell’11 settembre 2019, la Corte dei Conti, Sezione di controllo per la Puglia, è tornata a pronunciarsi sull’individuazione e sulla finanziabilità delle spese di investimento mediante il ricorso all’indebitamento.
La prima questione posta all’attenzione dei giudici contabili riguarda la possibilità di classificare la spesa per una manifestazione sportiva come “oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale” e, dunque, come investimento finanziabile mediante ricorso all’indebitamento (deliberazione n. 84/2019).
Il quesito, seppure inammissibile sul piano oggettivo, ha indotto la Corte a svolgere ugualmente alcune considerazioni di carattere generale vista la peculiarità della questione teorica con lo stesso prospettata.
Quindi la Corte ricorda che il legislatore ammette il ricorso all’indebitamento da parte degli enti locali solo per finanziare spese di investimento e che costituiscono investimenti, tra gli altri, “gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale” (art. 3, comma 18, lett. d), della legge 350/2003).
La possibilità di classificare la spesa in argomento come investimento finanziabile mediante ricorso all’indebitamento, spiega, deve ritenersi subordinata alla presenza di determinate condizioni, alla cui ricorrenza la contabilità economica ammette l’iscrizione in bilancio delle immobilizzazioni immateriali.
Tra le condizioni, la possibilità di identificazione individuale del bene, la titolarità del bene in capo all’ente, la produzione, da parte dei costi sostenuti, di un incremento significativo e misurabile di produttività, ovvero di un prolungamento della vita utile del bene.
In altri termini, affermano i giudici, è necessario che dall’operazione derivi “un aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare”, “un aumento della ricchezza dell’ente”, rilevabile contabilmente attraverso la rappresentazione del suo stato patrimoniale.
Con l’altra pronuncia (deliberazione n. 83/2019), la Corte si esprime in riferimento ad un accordo transattivo finalizzato a porre fine ad un contenzioso processuale, derivante da una condotta dell’Ente locale contraria ai suoi obblighi negoziali.
Il punto è capire se le spese relative a detto accordo possano essere qualificate in termini di investimento. La risposta, per i giudici contabili, è negativa. In realtà, un siffatto accordo non genera, come dovrebbe per le finalità in argomento, un aumento della “ricchezza” dell’ente, un “aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare”, ma, piuttosto, è destinato a contenere il depauperamento dell’ente stesso.
Va poi evidenziato che rientrano nella qualificazione di “investimento” solo le spese inerenti in modo diretto e fisiologico alle fattispecie contemplate dall’art. 3, comma 18, della legge 350/2003 e non anche quelle che, come l’accordo in parola, “patologicamente” si aggiungono in conseguenza di attività o comportamenti illeciti commessi dall’Amministrazione, da cui scaturisce l’obbligo di risarcimento del danno.
Infine, evidenziano i giudici, posto che la lite che l’accordo mira a prevenire o risolvere scaturisce da una condotta della P.A. contraria agli obblighi sulla stessa gravanti, ipotizzare di finanziare mediante indebitamento la relativa spesa e, dunque, qualificare implicitamente la stessa come investimento non soddisfa “l’esigenza di assicurare un comportamento gestionale degli enti improntato ad una prassi di assoluto rigore ed in linea con la necessità di garantire il rispetto della regola del pareggio economico del bilancio degli enti locali”.
Fonte: Redazione Paweb – Federica Marino, 27 settembre 2019