Alcuni cittadini comproprietari di un immobile sito in un Comune casertano contestavano davanti al TAR Campania l’iniziativa edificatoria dei proprietari di un lotto attiguo al loro che avevano presentato una denuncia di inizio attività per l’apertura di un varco – accesso carrabile e pedonale – sulla via assertivamente di proprietà degli ricorrenti medesimi, deducendo appunto la natura esclusivamente privata della menzionata strada che non poteva ritenersi esclusa dalla avvenuta inclusione della medesima nell’elenco delle strade comunali ai sensi della L. 12 febbraio 1958 n. 126.
Il Comune si era costituito eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e l’inammissibilità del gravame per omessa impugnazione del provvedimento comunale col quale inizialmente il Comune aveva sospeso la d.i.a. in attesa di definire i controlli sulla natura della strada e chiedendo comunque nel merito la reiezione del ricorso.
Il T.a.r. ha innanzitutto dedotto che era incontestabile la giurisdizione amministrativa sulla controversia e che nessun effetto di inammissibilità del ricorso poteva discendere dalla omessa impugnazione del provvedimento del 18 marzo 2008; infine, nel merito, respingeva il ricorso.
Proponeva appello uno dei soccombenti dichiarando di voler riproporre tutte le critiche invano prospettate in primo grado.
Con sentenza del 10 ottobre 2018 il Consiglio di Stato (Quarta Sezione) dichiarava il gravame in parte inammissibile ed in parte infondato.
Per quanto riguarda il primo profilo della statuizione si è rilevato che nella prima parte dell’appello la parte impugnante si è limitata ad enunciare l’intenzione di riproporre “tutti i motivi del ricorso di primo grado”, senza tuttavia riprodurli (e senza attualizzare le censure in chiave critica rispetto alla motivazione della impugnata decisione): nel processo amministrativo, un rinvio indeterminato agli atti di primo grado, senza alcuna ulteriore precisazione del loro contenuto, è inidoneo ad introdurre giudizio di appello motivi in tal modo dedotti, trattandosi di formula di stile insufficiente a soddisfare l’onere di espressa riproposizione.
Con riferimento al merito, invece, nonostante la menzionata declaratoria di inammissibilità per ragioni di rito, la pronuncia è stata più articolata.
Il Supremo Consesso, infatti, ha osservato che l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù. Ovviamente tale iscrizione è quindi superabile con la prova contraria della sua natura privata e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività; tuttavia, nel caso di specie, tale prova non è stata fornita, ed anzi l’appellante ha continuato a fare riferimento al proprio atto di acquisto, ma non ha apportato alcun elemento atto a contestare la tesi del Comune.
Nel caso di specie, la vicenda contenziosa era connotata dalle seguenti emergenze processuali:
a) l’inclusione della via, sulla cui natura si contro verteva, nell’elenco delle strade comunali ai sensi della L. 12 febbraio 1958 n. 126 con correlativa presunzione (seppur iuris tantum) della natura pubblicistica della stessa;
b) l’ulteriore dato della insistenza, sulla predetta via della pubblica illuminazione.
Sul primo aspetto si è osservato che l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale. Come detto, alcuna prova contraria di questo assunto è stata fornita dall’appellante, tale non potendo considerarsi le apodittiche affermazioni in punto di insussistenza di un interesse della collettività all’utilizzo della detta via.
Sul secondo profilo il Consiglio di Stato ha ricordato l’antico e mai contraddetto orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’insistenza di segnaletica stradale, la percorrenza di linee pubbliche urbane, l’illuminazione, la funzione di raccordo con altre strade ed a sbocco su piazza e su pubbliche vie sono tutti elementi univoci per il riconoscimento della qualità di strada comunale all’interno degli abitati ai sensi dell’art. 7 sub c) della L. 12 febbraio 1958 n. 126.
Fonte: Massimario Gari, Il quotidiano della pubblica amministrazione,
http://www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2018/ottobre/1539614337350.html