Definiamo l’ambito della funzione consultiva della Corte dei conti in favore degli enti locali.
La Sezione del controllo della Corte dei conti esercita le funzioni consultive attribuite dall’art. 7, commi 7 ed 8, della Legge n. 131/2003. In realtà tale competenza della Corte dei conti ha origini più antiche, poiché risale all’art. 13, RD 12 giugno 1934, n. 1214, tuttora in vigore, laddove dispone che la Corte “fa le sue proposte e dà parere nella formazione degli atti e provvedimenti amministrativi indicati dalla legge”.
L’art. 7, commi 7-8, L. n. 131/2003 citata, ad ogni modo, oltre ad individuare, quali soggetti competenti a richiedere il parere, le Regioni, Comuni e Province e città metropolitane, limita l’ambito della funzione consultiva alla materia di contabilità pubblica; numerose, tuttavia, sono le delibere con cui i giudici dichiarano inammissibili i pareri richiesti dagli enti locali perché al di fuori delle competenze della Corte.
Anzitutto le questioni poste all’attenzione della Corte non possono includere quesiti di competenza di altri organi (es. Aran, Anac) e le richieste formulate devono essere astratte e di carattere generale. I giudici contabili non possono esaminare, infatti, istanze aventi ad oggetto fatti gestionali dell’amministrazione richiedente poiché non possono sostituirsi alle scelte discrezionali che spettano alla p.a., la Corte deve restare organo terzo ed indipendente. In molte pronunce, i giudici dichiarano l’inammissibilità oggettiva del parere, ovvero, la sua non attinenza alla materia della contabilità pubblica.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 2616/1968, hanno ricondotto la nozione di contabilità pubblica, in senso processuale, ai giudizi di responsabilità amministrativa e contabile ed i giudizi di conto. La Sezione delle Autonomie ha fatto proprio tale orientamento riferendolo ad attività contabili in senso stretto: i giudici contabili, nella nota delibera n. 5/AUT/2006, infatti, hanno chiarito che, se da un lato la materia della contabilità pubblica non può ridursi alla sola tenuta delle scritture contabili ed all’acquisizione delle entrate ed erogazione delle spese, dall’altro non può nemmeno estendersi a qualsiasi attività degli enti locali che abbia riflessi di natura finanziaria – patrimoniale perché, in tal caso, le Sezioni regionali di controllo della Corte diventerebbero organi di consulenza generale delle autonomie locali.
Ricordiamo che le Sezioni regionali della Corte dei conti svolgono in favore degli enti locali una funzione consultiva non a carattere generale ma nell’ambito delle sostanziali competenze di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione.
Nella delibera n. 5/Aut/2006 che è il punto di riferimento per l’ambito della funzione consultiva dei giudici contabili è chiarito che “se è vero che ad ogni provvedimento amministrativo può seguire una fase contabile, attinente all’amministrazione di entrate e spese ed alle connesse scritture di bilancio, è anche vero che la disciplina contabile si riferisce solo a tale fase discendente, distinta da quella sostanziale, antecedente, del procedimento amministrativo, non disciplinata da normative di carattere contabilistico”.
Tale orientamento è stato ribadito nella successiva delibera delle Sezioni Riunite del 17 novembre 2010, n. 54, in cui i Giudici hanno puntualizzato che, per concetto di contabilità pubblica, si intende il sistema dei principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello stato e degli enti pubblici. Tale nozione deve però essere intesa in senso dinamico, ovvero può estendersi a quesiti che impattano sugli equilibri di bilancio, connessi all’utilizzo di risorse pubbliche nell’ambito di norme di spending e di specifici obiettivi di contenimento di spesa. Di conseguenza, materie non propriamente di contabilità pubblica, possono essere ad essa ricondotte in ottica dinamica – spostando l’attenzione dal tradizionale concetto di gestione di bilancio a quello dei relativi equilibri – per effetto della particolare considerazione riservata ad esse dal Legislatore ai fini del coordinamento della finanza pubblica.
Restano, ad ogni modo inammissibili le richieste che concernono valutazioni su casi o atti gestionali specifici, tali da determinare una ingerenza della Corte nella concreta attività dell’ente o una compartecipazione all’amministrazione attiva, incompatibile come già detto con la posizione di terzietà ed indipendenza della Corte.
Fonte: Redazione Paweb – Emanuela Castrataro, 06 marzo 2020.