La Cassazione ha recentemente emesso una sentenza relativamente al pagamento delle imposte sui redditi da parte di un cittadino italiano trasferitosi all’estero; la sentenza risulta degna di nota perché i giudici, nel formulare le proprie conclusioni sul caso, non hanno tenuto in considerazione le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (prevalenti sulla disciplina interna).
La sentenza in oggetto (n. 21970/2015) si fonda sulla norma definita dall’art. 2, comma 2 del TUIR; in tale articolo, infatti, la residenza fiscale di un soggetto viene definita attraverso tre elementi tra loro alternativi: 1) il criterio dell’iscrizione anagrafica; 2) il criterio del domicilio civilistico (dove il soggetto ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi); 3) il criterio della residenza civilistica (dove la persona dimora abitualmente). Per definire la residenza fiscale è sufficiente che una delle tre suddette condizioni sia soddisfatta.
Sulla base di quanto sopra riportato, la sentenza in commento ritiene che il contribuente interessato, poiché ancora iscritto nell’Anagrafe di un Comune italiano, debba essere ritenuto soggetto passivo delle imposte sui redditi in Italia, non essendo rilevante il trasferimento di residenza all’estero fino a quando non risulti la cancellazione dall’Anagrafe.
La sentenza della Cassazione, tuttavia, non tiene conto delle disposizioni delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, disposizioni da applicare nelle situazioni in cui due Stati, secondo le rispettive discipline interne, affermino entrambi la residenza fiscale di uno stesso soggetto.